Ce ne andiamo per non darvi altre preoccupazioni / 2013

ispirato a un’immagine del romanzo di Petros Markaris “L’esattore”

 

un progetto di Daria Deflorian e Antonio Tagliarini
con Daria Deflorian, Monica Piseddu, Antonio Tagliarini e Valentino Villa
collaborazione al progetto Monica Piseddu e Valentino Villa
luci di Gianni Staropoli
consulenza per le scene Marina Haas
direzione tecnica Giulia Pastore
organizzazione e distribuzione Giulia Galzigni / Parallèle

 

 

una produzione A.D.
in coproduzione con Teatro di Roma / Romaeuropa Festival 2013 / 369 gradi
in collaborazione con Festival Castel dei Mondi
residenze artistiche Centrale Fies / Olinda / Angelo Mai Altrove Occupato / Percorsi Rialto / Romaeuropa / Teatro Furio Camillo / Carrozzerie n.o.t
un ringraziamento ad Attilio Scarpellini e a Francesco La Mantia, Francesca Cuttica, Valerio Sirna, Ilaria Carlucci, Alessandra Ventrella

 

 

 

Punto di partenza e sfondo del lavoro è una immagine forte, tratta dalle pagine iniziali del romanzo L’esattore dello scrittore greco Petros Markaris, scritto nel 2011.
Siamo nel pieno della crisi economica greca quando vengono trovate le salme di quattro donne, pensionate, che si sono tolte volontariamente la vita. «…Abbiamo capito che siamo di peso allo Stato, ai medici, ai farmacisti e a tutta la società –spiegano in un biglietto – Quindi ce ne andiamo per non darvi altre preoccupazioni. Risparmierete sulle nostre pensioni e vivrete meglio».

Come hanno ordito queste quattro donne anziane questo singolare complotto contro la loro società in crisi? Abbiamo circoscritto il nostro immaginario tra il momento in cui prendono i sonniferi e quello in cui una ad una lasciano la vita nell’immacolato piccolo appartamento di periferia. “Ma chi ce l’ha fatto fare?” dice una delle nostre figure alle sue amiche e complici e scoppia in una fragorosa risata mentre è già distesa sul letto aspettando l’effetto delle pasticche ingoiate con della vodka, “uno dei modi più sicuri di fare una morte tranquilla nel sonno”.
La scena raccontata da Markaris ci ha anche fatto riflettere sul suicidio non come gesto esistenziale ma come atto politico estremo. Esistono suicidi altruistici? Siamo andati a cercare altri gesti simili nella realtà della Storia. Quello di Jan Palach, che durante la Primavera di Praga nel 1969 si è dato fuoco come atto di protesta contro la censura e quello del monaco vietnamita, Thich Quang Duc che, nel 1963, ha fatto lo stesso gesto per combattere la persecuzione contro la sua religione.

Non un racconto, né un resoconto, ma un percorso dentro e fuori queste quattro figure di cui non si sa nulla se non la tragica fine. Un percorso fatto di domande e questioni che sono le loro, ma sono soprattutto le nostre. Usiamo lo spazio di libertà della scena per scatenare la nostra collera, sanare l’eccesso di positività che ci circonda, i comportamenti rigidamente politicaly correct, la commozione facile, il sorriso stereotipato delle relazioni sociali, le ricette per vivere con serenità le ingiustizie che ci toccano.
La decisione di andarsene delle quattro pensionate, in bilico tra la rinuncia esistenziale e l’atto politico, diventa un rifiuto della nostra “società della stanchezza”, come l’ha definita il filosofo Byung–Chul Han. Una società sempre più assertiva e ottimista perché incapace di altro, e oramai dolcemente declinante verso l’impossibilità della dignità della vita.

In scena insieme a noi – per la prima volta dall’inizio del nostro lavoro comune – Monica Piseddu e Valentino Villa non solo per una corrispondenza al numero delle protagoniste, ma anche a ribadire una necessaria importante piccola collettività, elemento essenziale di questa immagine, semplice solo in apparenza. Insieme ci presentiamo al pubblico con una dichiarazione di forte impotenza, che in questo caso è una cruciale impotenza a rappresentare: il nostro no parte subito, fin dalla scena di apertura. Un gioco performativo che via via durante il lavoro diventa sempre più serio e definitivo. Non è solo la questione della rappresentazione a scricchiolare, ma ancora di più la nostra capacità di persone in scena di fronte ad altre persone sedute di fronte a noi di trovare una risposta costruttiva allo sfacelo prima di tutto morale che ci circonda. Incapaci, impotenti. Ma consapevoli di questo.

Premio Ubu 2014

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